Siamo tutti molto simili, almeno per quanto riguarda il codice genetico, eppure così diversi.
Quelle piccole (percentualmente) varianti del DNA, accompagnate da altre caratteristiche individuali rilevati quali il sesso, l’età, la storia personale e lo stile di vita corrente, fanno si che – se si desidera conseguire uno stato di salute e di forma ottimali – è necessario (o, meglio, indispensabile) personalizzare accuratamente la propria alimentazione.
Non ci sono regole, o diete, uguali per tutti!
I vantaggi di fornire il carburante qualitativamente, e quantitativamente, migliore al proprio organismo sono entusiasmanti:
– sia in termini di salute (molti di noi soffrono di piccoli o grandi problemi, spesso risolvibili)
– che di forma fisica (a chi non piace vivere in un corpo forte e ben modellato?)
– che di benessere soggettivo (energia in quantità, buon umore, elevata qualità del riposo notturno, eccetera).
Altri aspetti caratterizzanti uno stile di vita salutare – finalizzato ad ottenere una maggiore qualità (e durata) della vita stessa – hanno certamente un grande rilievo, ma sono più facilmente “standardizzabili”; sono – cioè – più facilmente riconducibili a delle indicazioni generali (esercizio fisico, integrazione, gestione dello stress, ecc.) valide, con piccoli aggiustamenti, per tutti.
Quali sono le variabili nella alimentazione che necessitano di attenta personalizzazione?
In termini di importanza, senza dubbio, il primo macronutriente da prendere in considerazione è costituito dai Carboidrati.
Anche se risulta indubbiamente arduo entrare in questo ordine di idee (considerato il bombardamento di informazioni cui siamo tutti esposti, e che poco o nulla hanno di scientifico), è ormai assodato da tempo che il nostro organismo non necessita di carboidrati alimentari.
Nel corso di 2,5 milioni di anni di evoluzione, le stagioni dell’anno – e le locazioni geografiche – hanno consentito la sopravvivenza (in ottima salute, peraltro) esclusivamente degli individui in grado di continuare a condurre una vita attiva nutrendosi prevalentemente (se non esclusivamente) di proteine e grassi animali.
E noi tutti “siamo” quegli individui!
Ma alcuni organi hanno bisogno di glucosio, si potrebbe eccepire.
Certo!
Ma in presenza di un adeguato introito di proteine e grassi di qualità il nostro fegato è predisposto (non costretto!) a produrre le quantità di glucosio necessarie (poche, peraltro) in modo molto più preciso di quanto non possa essere ottenuto con l’alimentazione.
Al secondo Ancestral Health Symposium (AHS12) un relatore ha posto la seguente domanda ad una sala piena di soggetti mediamente piuttosto preparati: “Sapete qual è il tessuto che trae davvero vantaggio dalla presenza di parecchio glucosio in circolo?”
Qualcuno ha proposto i globuli rossi (è vero, ma ne basta molto poco), qualcun altro il cervello (parzialmente vero).
Il relatore ha invece sorpreso quasi tutti dichiarando: “No, signori, è il cancro!”.
Credo che qualche secondo di riflessione sia doveroso.
Sta di fatto che una patologia come quella neoplastica (i tumori) è pressoché sconosciuta alle popolazioni che vivono ancora oggi una esistenza da cacciatori-raccoglitori.
Ed è comparsa “dal nulla” in tempi brevi in coloro che sono stati “civilizzati”!
Quindi i carboidrati alimentari vanno eliminati?
Senz’altro no!
E’ però ormai ampiamente consolidato (perché provato!) nella letteratura scientifica seria (non tutta lo è, purtroppo) il concetto relativamente nuovo di “intolleranza ai carboidrati”.
Cosa significa?
In termini volutamente semplici, vuol dire che ognuno di noi ha una soglia massima di carboidrati alimentari, ben sopportata dal sistema ormonale, superata la quale cominciano i problemi di salute e di accumulo di grasso (quasi sempre).
Problemi derivanti (in estrema sintesi) da un eccesso cronico di glucosio e, soprattutto, di insulina nel sangue.
Questa condizione di anomala presenza nel circolo di sostanze non anomale (che però non dovrebbero esserci a quei dosaggi) conduce a ciò che viene definitoinsulino-resistenza (le cellule rispondo sempre meno ai segnali che fornisce l’insulina).
Questa condizione reversibile (si può guarire!) è intimamente correlata con il diabete di tipo II (il 95% dei casi di diabete, in crescendo esponenziale tra la popolazione anche infantile), la malattia cardiovascolare, i tumori (appunto), l’ipertensione, valori pericolosi dei lipidi ematici (colesterolo totale e sue frazioni, in particolare i trigliceridi), il sovrappeso (soprattutto a livello addominale) l’obesità e l’infiammazione cronica.
Per citare “solo” le patologie più diffuse, in proporzioni quasi epidemiche ormai.
Si potrebbero aggiungere la sindrome dell’ovaio policistico, la depressione, le forme più diffuse di degenerazione neurologica (Parkinson, Alzheimer), e molto altro.
Tutto ciò che è su base infiammatoria cronica, senza eccezioni.
Credo ce ne sia a sufficienza per giustificare il suggerimento (molto pressante) di limitare l’apporto di carboidrati ben al di sotto della soglia che porta, quel dato soggetto, all’insulino-resistenza.
Di trovare quella soglia personale, per cominciare.
Questo significa prevenire (quella cosa così rara, purtroppo, in medicina) o curare in modo non convenzionale (non legato, quindi, indissolubilmente ai farmaci) una delle condizioni cliniche più frequenti e serie della società contemporanea.
Molti soggetti non sanno (nessuno li mette sull’avviso in tempo utile) di aver sviluppato insulino-resistenza, o di essere sulla strada che conduce inevitabilmente ad essa.
Si preoccupano piuttosto di un grado maggiore o minore di soprappeso, per motivi prevalentemente estetici, senza sapere a cosa stanno andando incontro: un continuo aumento del soprappeso stesso, con la progressiva (quando non sono già presenti) aggiunta di altri spiacevoli (talvolta mortali) compagni di viaggio.
Non ho nessuna intenzione di fare del terrorismo psicologico, ma i dati statistici non lasciano adito a dubbi e, per quanto – chi dovrebbe – non lanci i debiti allarmi, la situazione si sta facendo sempre più critica, e qualcuno è necessario che lo dica.
Sistemati i carboidrati (trovata, cioè, la soglia massima tollerata da quel soggetto) bisogna tarare adeguatamente il fabbisogno proteico.
Determinare, quindi, la quantità di proteine di cui quel soggetto necessita per fare fronte alle necessità del suo organismo.
Le proteine, contrariamente ai carboidrati alimentari sono indispensabili.
Ma sia troppe proteine, che troppo poche, non vanno d’accordo con una salute ottimale.
Esiste, con una tolleranza piuttosto ampia, una quantità adeguata per ogni individuo.
Dipende da variabili come la massa magra e l’entità dell’esercizio fisico, naturalmente, ma sono importanti anche la soglia dei carboidrati, l’età ed altri fattori.
A questo punto bisogna rivolgere l’attenzione al più importante (ai fini energetici, e non solo) dei tre macronutrienti (non consideriamo acqua e alcol tra questi, almeno per ora).
Il carburante preferenziale per il nostro organismo sono (sissignori!) i grassi.
Dalla letteratura (quella seria, da non confondere con tante pubblicazioni che non rispettano i canoni minimi per poter essere definite scientifiche) emerge con evidenza la capacità del nostro metabolismo di far fronte alle sue esigenze energetiche affidandosi prevalentemente ai grassi (trigliceridi, acidi grassi e chetoni, non solo chetoni!).
Ricerche moderne a parte (molto è emerso negli ultimi 10 anni) basta fare un semplice ragionamento:
– essendo dimostrato che il nostro organismo è in grado di accumulare glucosio sotto forma di scorte (glicogeno nel fegato e nei muscoli) per un massimo di circa 2.000 Kcal (le cosiddette “calorie”);
– essendo questa capacità correlata con la quantità di massa muscolare e con il grado di allenamento (quindi un soggetto non atleta ne accumula decisamente meno, diciamo tra le 1.200 e le 1.600, o ancora meno);
– essendo, invece, le scorte di grasso di deposito di un soggetto anche magro pari a centinaia di migliaia di Kcal;
Come avremmo potuto non estinguerci in un lungo periodo (bello lungo: 2,5 milioni di anni) di frequente scarsità di cibo se avessimo potuto contare solo su scorte bastevoli per un paio di giorni (glicogeno) invece che su quelle in grado di coprire anche un mese di digiuno attivo (a caccia col freddo, non davanti alla TV)?
Non avremmo potuto, è ovvio.
Ma questo non vuol dire che se ci sono i carboidrati è meglio, altrimenti ci si accontenta dei grassi.
Vuol dire piuttosto (e questo concetto è di rilievo primario) che se ci sono molti grassi (e abbastanza proteine) siamo a posto, mentre se mancano moriamo.
Se non disponiamo, invece, di carboidrati alimentari (glucosio) ce li fornisce il fegato, e stiamo benissimo.
L’eccesso di carboidrati (molto frequente oggi), e la carenza di proteine e grassi (!)possono creare problemi seri.
L’assenza di carboidrati, no.
E’ abbastanza chiaro?
Lo so bene che quanto scritto sopra è in evidente rotta di collisione con quanto ci viene ripetuto di continuo a vari livelli, e insegnato nelle università di medicina, ma se avessero ragione “loro” e non l’evoluzione, saremmo in queste condizioni?
Anche non ci fosse la scienza che dimostra il contrario, basterebbero i risultati degli ultimi 50 anni di suggerimenti nutrizionali “qualificati” per dimostrare che questi consigli (molti carboidrati e pochi grassi) sono sbagliati.
Basta guardarsi in giro, anche senza conoscere le statistiche sul diabete di tipo II nei bambini (mai visto fino a qualche anno fa) o le percentuali di ipertesi che assumono farmaci, o dei soggetti affetti da sindrome metabolica (una grave conseguenza dell’insulino-resistenza), per rendersi conto che seguire quei consigli ci stanno portando al disastro sanitario.
Non tutti i grassi sono uguali, però, ed è di notevolissima importanza fare uso esclusivamente di quelli salutari.
I tanto demonizzati grassi saturi sono tra questi.
Insieme ai monoinsaturi (olio di oliva, per esempio) sono tra quelli usati in modo preferenziale ai fini energetici.
E non è mai stata dimostrata una correlazione tra il loro consumo e la malattia cardiovascolare.
Da ridurre al minimo sono i polinsaturi della famiglia degli omega 6 (oli di semi, per esempio) mentre gli omega 3, come ormai in molti sanno, vanno spesso integrati.
Da fuggire come la peste i cosiddetti trans (parzialmente o totalmente idrogenati) ubiquitari nei prodotti di provenienza industriale (rendono possibile una prolungata resistenza all’irrancidimento ma sono estremamente dannosi).
Le quantità di grassi da introdurre dipende dalla soglia dei carboidrati e dal fabbisogno calorico del soggetto.
In fase di dimagrimento, desiderando che una parte dei grassi derivi dalle scorte, andranno ridotte le quantità di grassi alimentari in base alle individuali esigenze.
Come penso sia possibile intuire, la faccenda “personalizzazione” non è sempre agevole, e necessita di una fase di adattamento, e aggiustamenti fini, che è piuttosto difficile effettuare senza competenze specifiche.
Una volta trovato il proprio equilibrio, però, si è (forse per la prima volta nella vita) autonomi, motivati e competenti responsabili della propria salute e relativa forma fisica.
Che senso ha vivere un altro giorno in una condizione meno che ottimale?
Dimagrire è solo uno dei tanti risultati (alcuni decisamente più importanti) che avete a portata di mano.
Il processo di personalizzazione richiede un po’ di tempo per cui prima si comincia, prima si vedono i risultati.
Ci sono varie modalità di approccio serio:
– prima un Corso (dal vivo o registrato) che getti le fondamenta teoriche e motivazionali;
– poi una consulenza in studio (link) oppure un colloquio online (link);
– infine un breve percorso di ottimizzazione della personalizzazione da effettuare online e/o tramite e-mail.
A questo punto il soggetto è autonomo e in grado di gestire secondo le sue preferenze (gusti, orari, ecc.) le caratteristiche proprie della sua alimentazione individuale.
Sapendo di poter sempre contattare il sottoscritto tramite e-mail (senza costi ulteriori) per qualsiasi dubbio, per valutare degli esami, per un consiglio o del semplice supporto motivazionale, con la garanzia di una risposta nelle successive 48 ore (fine settimana escluso).