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Paleo, perché?

Poiché negli ultimi anni il notevole sviluppo del movimento Paleo/Primal/Ancestral ha visto aggiungersi agli autori che per primi avevano trattato la materia (Eaton, Eades, Cordain, DeVany) una vasta schiera di seguaci con tipi di formazione (e di suggerimenti pratici) piuttosto diversi, è necessario intendersi sul termine “Paleo”.

Premetto che, pur facendone uso perché è quello più diffuso, e consente – quindi – di capirsi meglio, a me non piace molto.

Poco importa, basta intendersi.

E’ molto importante, invece, chiarire l’accezione (il significato) che do a questo termine.

Il concetto chiave è che il nostro DNA è ancora (e lo sarà per molto tempo a venire) pressoché identico a quello che i nostri antenati hanno selezionato in 2,5 milioni di anni di Evoluzione fino, appunto, al periodo Paleolitico.

Evoluzione significa sopravvivenza dei soggetti che meglio si sono adattati all’ambiente col quale dovevano giornalmente confrontarsi e, poiché tale ambiente era estremamente ostile, quelli che sono sopravvissuti avevano sviluppato delle caratteristiche fisiche eccezionalmente efficienti, tali da consentire loro di posizionarsi in posizione dominante nella catena alimentare.

Circa 10.000 anni fa (in molte parti del mondo anche molto più di recente) dacacciatore-raccoglitore quale era stato per tanto tempo l’essere umano ha cominciato a “convertirsi” all’agricoltura interrompendo la sua esistenza da nomade e modificando radicalmente l’alimentazione e lo stile di vita.

Che ciò abbia facilitato lo sviluppo della “civiltà” così come la intendiamo oggi (grosse concentrazioni di persone stabilmente radicate in un certo luogo geografico, lo sviluppo delle attività intellettuali, ecc.) non è pertinente a quanto ci interessa in questa sede e anche discutibile (a mio avviso).

A noi interessano le conseguenze, su una salute in precedenza ottimale, che questa radicale modifica ha comportato.

Ritengo molto utile la lettura di La Paleo dieta di Robb Wolf per maggiori dettagli, ma è utile sintetizzare in questa sede quelli che sono gli aspetti di maggior rilevanza.

Innanzitutto l’agricoltura ha messo a disposizione, nell’arco di tutto l’anno, unaquantità (e una qualità) di carboidrati radicalmente diversa da quella che il codice genetico (e il metabolismo) umano era abbondantemente in grado di gestire.

Creando un sovraccarico di zuccheri troppo rilevante e continuo per non dare adito a conseguenze assai gravi.

Hanno inoltre fatto la loro imponente comparsa cibi Neolitici (mai utilizzati in precedenza) che si portano al seguito una serie di problemi molto diffusi (legati al loro contenuto in sostanze specifiche) e oramai piuttosto ben studiati.

Quali sono i cibi Neolitici?

Queste le tre categorie principali:

  • Cereali;
  • Legumi;
  • Latticini.

Cereali e legumi condividono alcune caratteristiche comuni legate alla presenza al loro interno di sostanze chimiche che la pianta ha sviluppato come difesa dai predatori (noi in questo caso).

Le conseguenze dell’ingerire queste molecole sono molto pesanti sia a livello intestinale sia per ogni altro organo ed apparato del nostro sofisticato organismo.

Possiamo racchiuderle per semplicità in cinque gruppi:

1. infiammazione cronica della parete intestinale (causata dalle lectine, di cui la più incriminata è quella contenuta nel glutine) con conseguente passaggio in circolo di batteri, virus e altre componenti del contenuto dell’intestino stesso che dovrebbero invece restare al suo interno;

2. ciò provoca una risposta immunitaria (il sistema riconosce come “anomalo” questo passaggio indiscriminato e si attiva).

Continuare a mangiare gli stessi alimenti perpetua l’anomala risposta immunitaria, che in soggetti predisposti geneticamente può contribuire allo scatenarsi di malattie autoimmuni;

3. il contenuto in fitati di questi alimenti riduce l’assorbimento dei minerali contenuti nel cibo, portando ad un deficit che può avere conseguenze molto serie soprattutto nel lungo periodo (magnesio, ferro, calcio, zinco, ecc.);

4. un’altra categoria di sostanze dannose è quella dei cosiddetti antinutrienti. Si tratta anche in questo caso di un’inibizione dell’assorbimento di componenti importanti del cibo che non riescono (o riescono solo in parte) ad avere accesso al circolo sanguigno. Mangiamo certe quantità di macronutrienti ma le assimiliamo solo in parte;

5. infine è importante citare gli inibitori delle proteasi. Si tratta di sostanze che riducono l’efficienza degli enzimi che consentono di digerire le proteine.

E’ importante ricordare che la sensibilità al glutine (da non confondersi con la celiachia) è assai frequente, e può interessare organi diversi dall’intestino, quali ilcervello.

Per quanto concerne i latticini ritengo necessario fare alcune precisazioni.

E’ innanzitutto saggio ricordare che la specie umana è l’unica che faccia uso regolare del latte di animali totalmente diversi.

Inoltre il latte, prima di essere consumato, viene trattato con modalità che ne modificano in peggio le caratteristiche nutrizionali (pastorizzazione) già pesantemente condizionate da un allevamento dell’animale stesso che nulla ha di naturale.

Con tutte queste manipolazioni, già il prodotto di base (il latte) non ha più nulla a che spartire con quello di cui si nutrirebbe il vitello di una mucca al pascolo.

E noi non siamo vitelli!

Come scrive il Prof. Cordain nel suo ultimo libro, il latte di mucca è un filtrato del sangue bovino, il quale contiene ormoni (insulina compresa) e altre molecole che sono idonee a far crescere il cucciolo di quella specie, mentre non sono l’ideale (anzi) per l’essere umano.

La caseina, una delle proteine del latte, è molto simile – come molecola – al glutine ed è frequente che dia problemi d’intolleranza sovrapponibili a quelli cui ho accennato trattando dei cereali e dei legumi.

Il lattosio, lo zucchero del latte, è anch’esso frequentemente implicato in forme d’intolleranza.

Inoltre i latticini sono alimenti molto acidi che contribuiscono a rendere più complesso ottenere un’alimentazione tendenzialmente basica (non acida) come sarebbe altamente consigliabile.

Sappiamo che anche le proteine contribuiscono in misura modesta ad elevare i livelli circolanti di insulina ma quelle del latte lo fanno in modo molto più spiccato (pari al pane bianco, secondo il Prof. Cordain).

Qualora si disponesse di latte (non pastorizzato) di animali allevati liberi di pascolare e di mangiare erba, per chi non presentasse intolleranze, le scelte migliori sono i latticini fermentati (yogurt, kefir), i formaggi grassi e stagionati e il burro e la panna (che sono composti solo di grasso).